Il bombardamento [di Tripoli]
(La Tribuna 5 ottobre 1911)
Perché si è fatto
Come per i primi abbiamo potuto pubblicare stamane nella nostra edizione straordinaria, il bombardamento di Tripoli si è iniziato
ieri verso le 15,30; fu sospeso dopo il tramonto e deve essere ripreso stamane. Nelle varie fasi di una guerra navale, il
bombardamento di una città o di una piazza forte può essere dovuto a varie ragioni. Qualche volta, cioè, a scopo di pura e
semplice rappresaglia contro il nemico; più spesso per preparare il campo ad uno sbarco con conseguente occupazione da parte di
truppe. L’Italia, a Tripoli, si trova oggi nel secondo caso, che si può definire per quello classico.
La guerra, infatti, è sempre la guerra malgrado i progressi della civiltà che vieta inutili angarie e vessazioni anche al nemico;
ma non crediamo più possibile che una delle parti belligeranti possa oggi infierire per puro spirito di rappresaglia, contro
città indifese e zone di costa inermi. Il bombardamento, attraverso la verniciatura di gentilezza e di umanità, di cui il
progredire dei popoli ha rivestito anche la guerra, non si fa che quando occorra preparare il terreno ad una azione militare
terrestre. Siamo dunque perfettamente nel caso; e inostri ammiragli hanno proceduto secondo le più squisite norme della cavalleria.
Dal momento della intimazione di resa fino al tuonare del cannone sono corsi tre giorni; la guarnigione di Tripoli ed il Governo
turco hanno avuto tutto il tempo per vagliare il pro e il contro; per decidersi alla resa o alla resistenza.
Si è preso partito per quest’ultima; noi siamo in perfetta regola dinanz’al mondo civile. Ma, secondo le notizie che ci sono
giunte, abbiamo fatto anche di più; si può dire che abbiamo ecceduto in cortesia. Non ci siamo discostanti di un punto dal
proposito nostro, che era quello di preparare il terreno al corpo di spedizione che va radunandosi e partirà tra qualche giorno
in lungo corteo di navi verso la terra promessa. Occorreva raggiungere due obiettivi: smantellare quelle larve di fortezze che
proteggono il porto di Tripoli, e seminare senza tuttavia abbandonarsi ad inutili crudeltà, un salutare timore di noi nella
guarnigione turca.
Dal primo obiettivo non si poteva prescindere, poiché se è vero che i forti turchi non hanno presa sulle nostre navi fin che
esse si mantengano a distanza tale da rendere in pari tempo efficiente il nostro fuoco e inutile quello da terra, non è men vero
che i forti, lasciati integri, avrebbero potuto dare molestia alle imbarcazioni conducenti a terra i nostri soldati; o anche alle
navi, qualora si fossero avvicinate a terra, un poco di più, a portata delle artiglierie nemiche. Le nostre navi si sono disposte
in semicerchio dinanzi a Tripoli a distanza opportuna l’una dall’altra ed hanno iniziato il tiro, coi pezzi di medio calibro,
secondo ci si telegrafa da Malta. Ed esse, se già non l’hanno avuta, avranno in breve ragione dei forti turchi, deboli – come
già dicemmo altra volta – e guarniti di artiglierie antiquate e di scarsa efficienza. Questi forti hanno fatto tuttavia il loro
dovere: non è colpa loro se i cannoni delle nostre navi li abbian messi ben presto a tacere. Ma si sono risparmiate le case; si
sono risparmiate le moschee e tutti i luoghi della città ove era presumibile l’agglomeramento del popolo atterrito. Tra breve –
se la cosa non è ancor compiuta – la bandiera italiana sventolarà su Tripoli.
La nostra flotta ha fatto dunque, da questo lato, il suo dovere maggiore; il resto aspetterà al nostro esercito, se pure i turchi
nel frattempo non penseranno ad arrendersi e a non insistere in un conflitto, le cui conseguenze potrebbero essere per loro
disastrose.
Che cosa avverrà ora dopo lo smantellamento delle fortezze?
Due sono le ipotesi. O l’ammiraglio riterrà che la guarnigione turca sia in orgasmo tale da aver frustrata ogni velleità di
resistenza, ed in questo caso egli potrà meglio preparare il terreno al corpo di spedizione, facendo sbarcare contingenti di
marinai in pieno assetto di guerra, muniti di quelle artiglierie leggiere di cui tutte le navi sono fornite; o crederà invece
non propizio il momento di osare un simile colpo di audacia, dato che i soldati regolari di Tripoli si aggirano intorno ai
cinquemila e le nostre navi non potrebero sbarcare più di un migliaio e mezzo di uomini per non rimanere sprovviste del
personale necessario alle esigenze di bordo; ed in questo caso non rimane che lasciare dinanzi a Tripoli poche navi in crociera
per evitare un colpo di mano del nemico il quale potrebbe tentare l’invio di rinforzi da contrapporre alle nostre truppe, quando
fossero arrivate.
Così stanno oggi le cose dinanzi a Tripoli.
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