I numeri della "Grande emigrazione"
Gli italiani che emigrarono lo fecero perché speravano di trovare l’America, ma anche l’Europa, l’Africa, l’Asia
e l’Oceania.
L’emigrazione italiana tra il 1876 e il 1925, secondo i dati resi disponibili dal servizio statistico del Regio
Commissariato Generale dell’emigrazione nel 1926, si è diretta, in pratica, verso tutti gli angoli della terra,
anche i più sperduti o sconosciuti ai più.
Secondo le statistiche ufficiali che, ovviamente non tennero conto dell’emigrazione clandestina e risentirono di
sistemi di rilevamento non del tutto affidabili (1), partirono, nell’arco di un secolo di storia (1876-1980), circa
27 milioni di italiani. La fase “gloriosa” dell’emigrazione italiana si ebbe tra i primi anni ’80 del XIX secolo
e l’inizio del primo conflitto mondiale, durante tele periodo lasciarono il Regno d’Italia ben 13.600.000 persone
(furono, invece, oltre 16.620.000 gli italiani che partirono tra il 1876 e il 1925) mentre il solo 1913 fu l’anno
che vide il maggior numero di partenze con ben 872.528 espatri.
Per ritornare a quanto affermato nell’incipit, le mete “preferite” dai nostri connazionali, non si limitarono a
luoghi noti e scontati. E’ vero che la maggioranza di essi preferì varcare l’oceano per recarsi negli Stati Uniti,
o in Brasile o in Argentina (8.855.000 persone) ma quasi altrettanti, senza effettuare grossi spostamenti, scelse
i principali paesi europei (7.411.000 emigrati).
Le mete e i rischi
Nonostante i numeri biblici, non dobbiamo dimenticare coloro che, in misura certamente minore, scelsero di
recarsi verso mete esotiche e scelsero il continente africano (in 293.000), l’Oceania (con 38.696 espatri) o
l’Asia (furono 12.230) per riaccendere la speranza.
Per gran parte degli emigranti la necessità di emigrare fu dettata dalla voglia di veder migliorare la propria
condizione di vita e quella dei familiari. Tutti, al momento della partenza, sentivano la necessità di “tentare
la fortuna” e, per coronare questo sogno, qualsiasi meta di cui si era sentito favoleggiare potevano offrire le
giuste opportunità. Questo nella mente o nel cuore di chi partiva. La realtà poteva rivelarsi assai diversa a
seconda delle congiunture storiche ed economiche trovate nei paesi di accoglienza.
Anche negli Stati Uniti, in Brasile o in Argentina l’esperienza migratoria poteva trasformarsi in un incubo se
si cadeva vittima di sfruttatori, approfittatori, malattie o rivendicazioni xenofobe.
Molti emigranti si ritrovarono in lande desolate abbandonati a se stessi e alle pretese di padroni senza scrupoli,
costretti a lavorare fino allo stremo delle forze anche solo per poter fuggire e tornare al proprio paese di
origine a mani vuote (2); altri furono vittime di climi e malattie sconosciute che decimarono intere famiglie
rendendo così vane prospettive di vita allettanti (3).
Molti invece non riuscirono a sopportare le privazioni egli stenti e decisero di tornare in patria. Altri lo
fecero e, verosimilmente furono la grande maggioranza, perché, al contrario riuscirono a coronare il proprio
sogno e giunsero al paese con un piccolo gruzzolo di denaro da investire.
Più della metà degli emigrati decise di tornare tanto che sui 27 milioni che partirono, ben 14 milioni di persone
fecero ritorno in Italia. Gli altri, soddisfatti della propria esperienza, misero in atto una scelta di vita che,
in definitiva, comportò l’accettazione di una nuova patria.
Bibliografia
Commissariato Generale dell'Emigrazione, “Annuario statistico della emigrazione italiana dal 1876 al 1925”,
Roma 1926.
Stella G. A., “Odissee. Italiani sulle rotte del sogno e del dolore”, Rizzoli editore, Milano 2004.
Legge 1° febbraio 1901 n. 24 sui risparmi degli emigrati. (Leggi...)
Ellis Island: la porta (poco dorata) dell'America. (Leggi...)
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