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Didascalie

In alto: biglietto di viaggio per una traversata in terza classe.
Al centro: un gruppo di emigranti sul ponte di un piroscafo.
In basso: drammatica immagine della Domenica del Corriere sull'affondamento del piroscafo Sirio avvenuto in Spagna, presso Capo Palos, il 4 agosto del 1906.

Note

1 - Il termine “nolo” veniva usato nel linguaggio burocratico del Commissariato per l’emigrazione per indicare il prezzo del singolo passaggio-nave che veniva fissato dal Ministero degli esteri tramite uno specifico decreto pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale del Regno”.

2 – Piuttosto noto è il caso del piroscafo “Carlo R.” della compagnia “Società Commerciale di Navigazione” di Genova a bordo del quale, nel 1894, scoppiò un’epidemia di colera che fece circa duecento vittime. La nave, appena giunta a Rio de Janeiro fu messa in quarantena e subito dopo fu costretta a tornare in Italia con tutto il suo carico umano.

3 – Gli armatori, che intendevano trasportare emigranti sui loro piroscafi erano obbligati a richiedere al Commissariato per l’emigrazione una speciale patente (di vettore) rinnovabile ogni anno. Una specifica commissione, poi, aveva il compito di verificare nei porti italiani l’adeguatezza tecnica e ricettiva di ogni singolo piroscafo.

4 – Il vitto giornaliero e la quantità di cibo furono indicati sul retro del biglietto di viaggio in modo che tutti potessero essere a conoscenza di ciò che spettava loro.

5 – Ad esempio, la giornalista e scrittrice italo-americana Amy Bernardy fece della sicurezza in mare degli emigranti un suo cavallo di battaglia.

6 – Il piroscafo “Principessa Mafalda” fu, per anni, il vanto della marineria commerciale italiana. Al momento del naufragio, tuttavia, la nave era prossima al disarmo. Durante l’ultima traversata subì diverse avarie. Il naufragio avvenne perché si sfilò l’asse dell’elica sinistra che creò una falla nella sezione poppiera dello scafo.

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Mamma mia dammi cento lire.

La preparazione del viaggio

Biglietto di terza classe Il testo della famosa ballata popolare può essere preso come spunto per parlare dei viaggi di emigrazione in terza classe e per ripercorrere le fasi salienti che ne caratterizzarono la natura.
Prendere la decisione di emigrare era sempre una scelta sofferta perché coinvolgeva affetti, speranze e paure. Il più delle volte non si aveva coscienza delle difficoltà e dei pericoli a cui si andava incontro. Il viaggio rappresentava un’incognita: il treno che portava verso i porti di imbarco o verso il nord Europa era un mezzo di trasporto quasi del tutto sconosciuto su quale in molti non erano mai saliti. Allora come oggi, tuttavia, fu la nave, il piroscafo, il vapore, (chiamatelo come volete) l’immagine che più colpì la fantasia di chi sarebbe partito e di chi sarebbe rimasto. Il viaggio in mare era pieno di insidie già prima della partenza.

Si doveva essere in regola con le disposizioni legislative in materia di emigrazione (e con quelle relative alla leva militare), poi occorreva “fare le carte”, ovvero procurarsi i documenti necessari all’espatrio come il certificato di buona condotta e il passaporto. Solo a questo punto era possibile iniziare a pensare a come reperire il denaro occorrente per acquistare il “nolo” (1) e organizzare seriamente il viaggio.
Molti, per mettere da parte i soldi per il biglietto di terza classe furono costretti a vendere quel poco che avevano: le terre, le case, il bestiame, cercando di non cadere vittima di usurai, di approfittatori o di veri e propri truffatori di professione pronti a “spennare” il malcapitato di turno. Questi loschi figuri si aggiravano nelle città marinare e all’interno dei porti ma c’era anche chi operava direttamente nelle contrade e nelle campagne dove cercavano di convincere con le lusinghe i possibili emigranti a vendere tutto e partire.

I pericoli del viaggio

Emigranti sul ponte di un piroscafo Il piroscafo, si è detto, incuteva timore a tutti. Molti avevano il terrore del mare (un elemento che gran parte dei contadini dell’Appennino non conoscevano) e dei naufragi ma pochi erano coscienti che il viaggio potesse avere anche altre conseguenze: la promiscuità, la scarsa igiene e il gran numero di persone imbarcate, tra le quali potevano esserci soggetti già malati, favorirono l’insorgere di complicazioni sanitarie e, in tal caso, i bambini e gli anziani erano le vittime predestinate. Poteva anche succedere che le conseguenze fossero più importanti ed estese coinvolgendo tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio con epidemie di tifo o di colera (2). Se mai una simile sventura fosse capitata il piroscafo era costretto a subire una lunga quarantena in mare. Nei casi più gravi, le autorità sanitarie del porto di destinazione potevano costringere la nave con tutti i suoi passeggeri a tornare in Italia.

Le condizioni degli emigranti migliorarono sensibilmente con l’approvazione della nuova legge sull’emigrazione avvenuta alle soglie del ventesimo secolo (legge n. 23 del 31 gennaio 1901).
Le nuove norme furono il frutto di un lungo dibattito politico e sociale che mostrò di aver recepito la necessità di assicurare una maggiore tutela all’emigrante da parte dello Stato. A questo scopo fu creato un organo specifico, il “Regio Commissariato per l’Emigrazione”, presso il quale furono accentrate tutte le competenze in materia.
Al commissariato facero capo i “commissari viaggianti” che ebbero il compito di verificare, a bordo dei piroscafi, la corretta applicazione dei dettati dalla legge, i medici militari imbarcati per assistere gli emigranti e fornire loro assistenza e cure sanitarie e le commissioni arbitrali provinciali demandate a derimere le controversie sorte tra gli emigranti, gli agenti dei “vettori” e le compagnie di navigazione.
La permanenza a bordo dei “vapori” fu più agevole anche perché il regolamento di attuazione della legge del 1901 impose agli armatori di dotare i piroscafi (3), di spazi personali (le cuccette) e di ambienti comuni adeguati oltre ad assicurare ai passeggeri un vitto di buona qualità e con porzioni stabilite dal regolamento stesso (4).

Il pericolo maggiore: i naufragi

Il naufragio del Sirio Un capitolo a parte è quello che riguarda i naufragi. Nel corso degli anni vi furono diversi incidenti che causarono un gran numero di vittime. Alcuni (5) pensarono che questo era dovuto alle cattive condizioni delle navi impiegate nel trasporto degli emigranti ma, ben presto, ci si rese conto che il rischio di incidenti non diminuiva con l’impiego dei moderni piroscafi dotati di scafo in ferro e di propulsione a vapore. Fu, invece, la capacità di carico di queste navi, in grado di ospitare a bordo fino a 1200-1400 persone, che rese drammatico il computo delle vittime in caso di disastro: nel naufragio del vapore inglese “Utopia”, avvenuto nella rada di Gibilterra nel 1891, persero la vita più di 500 emigranti italiani, mentre nel caso del piroscafo “Sirio”, finito sugli scogli di Capo Palos in Spagna nel 1906, le vittime furono almeno 300.

Nel corso dei primi decenni del Ventesimo secolo, la sicurezza in mare beneficiò di un marcato sviluppo. La tecnologia navale e i sistemi di comunicazione fecero progressi sostanziali (basti pensare, ad esempio, al telegrafo senza fili di Marconi) ma questo non bastò ad evitare altre tragedie: sicuramente quella del “Titanic” fu (e lo è ancora oggi) la più nota, ma non va dimenticato il naufragio del piroscafo italiano “Principessa Mafalda” avvenuto presso le coste del Brasile nell’ottobre 1927 e che causò almeno 314 vittime (6).

Bibliografia

Cabrini A., “Emigrazione ed emigranti – Manuale”, Zanichelli Editore, Bologna 1911

Golini A., Amato F., “Uno sguardo ad un secolo e mezzo di emigrazione italiana”, in: Bevilacqua P., De Clementi A., Franzina A. (a cura di), “Storia dell’emigrazione italiana. Partenze”, Donzelli Editore, Roma 2001.

Molinari A., “Porti, trasporti e compagnie”, in: Bevilacqua P., De Clementi A., Franzina A. (a cura di), “Storia dell’emigrazione italiana. Partenze”, Donzelli Editore, Roma 2001.

Per approfondire

L'ultimo viaggio del piroscafo Sirio affondato nel 1906. (Leggi...)

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