La preparazione del viaggio
Il testo della famosa ballata popolare può essere preso come spunto per parlare dei viaggi di emigrazione in terza
classe e per ripercorrere le fasi salienti che ne caratterizzarono la natura.
Prendere la decisione di emigrare era sempre una scelta sofferta perché coinvolgeva affetti, speranze e paure.
Il più delle volte non si aveva coscienza delle difficoltà e dei pericoli a cui si andava incontro. Il viaggio
rappresentava un’incognita: il treno che portava verso i porti di imbarco o verso il nord Europa era un mezzo di
trasporto quasi del tutto sconosciuto su quale in molti non erano mai saliti. Allora come oggi, tuttavia, fu la nave,
il piroscafo, il vapore, (chiamatelo come volete) l’immagine che più colpì la fantasia di chi sarebbe partito e di
chi sarebbe rimasto. Il viaggio in mare era pieno di insidie già prima della partenza.
Si doveva essere in regola con
le disposizioni legislative in materia di emigrazione (e con quelle relative alla leva militare), poi occorreva “fare
le carte”, ovvero procurarsi i documenti necessari all’espatrio come il certificato di buona condotta e il passaporto.
Solo a questo punto era possibile iniziare a pensare a come reperire il denaro occorrente per acquistare il “nolo” (1)
e organizzare seriamente il viaggio.
Molti, per mettere da parte i soldi per il biglietto di terza classe furono costretti a vendere quel poco che avevano:
le terre, le case, il bestiame, cercando di non cadere vittima di usurai, di approfittatori o di veri e propri
truffatori di professione pronti a “spennare” il malcapitato di turno. Questi loschi figuri si aggiravano nelle città
marinare e all’interno dei porti ma c’era anche chi operava direttamente nelle contrade e nelle campagne dove
cercavano di convincere con le lusinghe i possibili emigranti a vendere tutto e partire.
I pericoli del viaggio
Il piroscafo, si è detto, incuteva timore a tutti. Molti avevano il terrore del mare (un elemento che gran parte dei
contadini dell’Appennino non conoscevano) e dei naufragi ma pochi erano coscienti che il viaggio potesse avere anche
altre conseguenze: la promiscuità, la scarsa igiene e il gran numero di persone imbarcate, tra le quali potevano
esserci soggetti già malati, favorirono l’insorgere di complicazioni sanitarie e, in tal caso, i bambini e gli
anziani erano le vittime predestinate. Poteva anche succedere che le conseguenze fossero più importanti ed estese
coinvolgendo tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio con epidemie di tifo o di colera (2). Se mai una simile
sventura fosse capitata il piroscafo era costretto a subire una lunga quarantena in mare. Nei casi più gravi, le
autorità sanitarie del porto di destinazione potevano costringere la nave con tutti i suoi passeggeri a tornare in
Italia.
Le condizioni degli emigranti migliorarono sensibilmente con l’approvazione della nuova legge sull’emigrazione
avvenuta alle soglie del ventesimo secolo (legge n. 23 del 31 gennaio 1901).
Le nuove norme furono il frutto di un lungo dibattito politico e sociale che mostrò di aver recepito la necessità di
assicurare una maggiore tutela all’emigrante da parte dello Stato. A questo scopo fu creato un organo specifico, il
“Regio Commissariato per l’Emigrazione”, presso il quale furono accentrate tutte le competenze in materia.
Al commissariato facero capo i “commissari viaggianti” che ebbero il compito di verificare, a bordo dei piroscafi,
la corretta applicazione dei dettati dalla legge, i medici militari imbarcati per assistere gli emigranti e fornire
loro assistenza e cure sanitarie e le commissioni arbitrali provinciali demandate a derimere le controversie sorte
tra gli emigranti, gli agenti dei “vettori” e le compagnie di navigazione.
La permanenza a bordo dei “vapori” fu più agevole anche perché il regolamento di attuazione della legge del 1901
impose agli armatori di dotare i piroscafi (3), di spazi personali (le cuccette) e di ambienti comuni adeguati
oltre ad assicurare ai passeggeri un vitto di buona qualità e con porzioni stabilite dal regolamento stesso (4).
Il pericolo maggiore: i naufragi
Un capitolo a parte è quello che riguarda i naufragi. Nel corso degli anni vi furono diversi incidenti che causarono
un gran numero di vittime. Alcuni (5) pensarono che questo era dovuto alle cattive condizioni delle navi impiegate nel
trasporto degli emigranti ma, ben presto, ci si rese conto che il rischio di incidenti non diminuiva con l’impiego dei
moderni piroscafi dotati di scafo in ferro e di propulsione a vapore. Fu, invece, la capacità di carico di queste navi,
in grado di ospitare a bordo fino a 1200-1400 persone, che rese drammatico il computo delle vittime in caso di
disastro: nel naufragio del vapore inglese “Utopia”, avvenuto nella rada di Gibilterra nel 1891, persero la vita più
di 500 emigranti italiani, mentre nel caso del piroscafo “Sirio”, finito sugli scogli di Capo Palos in Spagna nel 1906,
le vittime furono almeno 300.
Nel corso dei primi decenni del Ventesimo secolo, la sicurezza in mare beneficiò di un marcato sviluppo. La tecnologia
navale e i sistemi di comunicazione fecero progressi sostanziali (basti pensare, ad esempio, al telegrafo senza fili
di Marconi) ma questo non bastò ad evitare altre tragedie: sicuramente quella del “Titanic” fu (e lo è ancora oggi) la
più nota, ma non va dimenticato il naufragio del piroscafo italiano “Principessa Mafalda” avvenuto presso le coste del
Brasile nell’ottobre 1927 e che causò almeno 314 vittime (6).
Bibliografia
Cabrini A., “Emigrazione ed emigranti – Manuale”, Zanichelli Editore, Bologna 1911
Golini A., Amato F., “Uno sguardo ad un secolo e mezzo di emigrazione italiana”,
in: Bevilacqua P., De Clementi A., Franzina A. (a cura di), “Storia dell’emigrazione italiana. Partenze”, Donzelli Editore, Roma 2001.
Molinari A., “Porti, trasporti e compagnie”,
in: Bevilacqua P., De Clementi A., Franzina A. (a cura di), “Storia dell’emigrazione italiana. Partenze”, Donzelli Editore, Roma 2001.
L'ultimo viaggio del piroscafo Sirio affondato nel 1906. (Leggi...)
Copyright: Terzaclasse.it 2013