La nave
Il piroscafo "Utopia" era una delle navi oceaniche della compagnia di navigazione britannica "Anchor Line".
Insieme alle gemelle "Elysia" e "Alsatia" fu costruita a Glasgow nei cantieri navali della società "Robert
Duncan & Co" nel 1874 e varata il 14 febbraio dello stesso anno. Fece il suo viaggio inaugurale sulla rotta tra Glasgow
e New York partendo dal porto scozzese il 23 maggio del 1874.
La nave aveva lo scafo in ferro e una stazza lorda di 2371 tonnellate. Era lungo 350,2 piedi (110 m), largo 35,2 piedi
(11 m) con un'altezza alla prua di 29,5 piedi (9 metri). Sul ponte di coperta spiccavano le sovrastrutture
destinate ad ospitare i passeggeri di cabina, la plancia di comando, i due alberi e un alto fumaiolo. Lo scafo
era mosso da un motore a vapore a doppio compound in grado di erogare fino a 678 cavalli che assicuravano alla
nave una velocità massima di 13 nodi. In condizioni normali il piroscafo trasportava 120 passeggeri di prima classe,
60 di seconda classe e ben 600 emigranti (o un volume di merce equivalente).
Dopo aver navigato sulla rotta Glasgow-New York per quasi un anno l'"Utopia" venne destinato al collegamento tra
la Gran Bretagna e l'India. Dal 1876 fu nuovamente trasferito per servire la tratta Londra-New York ma,
all'orizzonte iniziava a profilarsi un nuovo ricco mercato da sfruttare: quello della grande emigrazione europea
e italiana in particolare.
Per rendere più efficiente e remunerativo il trasporto degli emigranti, il piroscafo venne destinato dalla "Anchor
Line" alle rotte mediterranee, dopo essere stato completamente ristrutturato nel 1890, per aumentarne la
capienza e la velocità (1)
Il naufragio
Nel mar Mediterraneo la nave seguì la rotta che partendo da Trieste conduceva i passeggeri a New York. Gli scali
intermedi nei porti di Napoli e di Genova, permettevano di imbarcare altri (numerosi) emigranti italiani mentre
quello di Gibilterra serviva ad assicurare al piroscafo un porto "sicuro" dove reperire gli ultimi rifornimenti
di viveri e carbone prima della traversata oceanica.
Come innumerevoli altre volte il piroscafo "Utopia" aveva lasciato il molo del porto di Trieste il 25 febbraio
del 1891 alla volta degli Stati Uniti, meta agognata per la maggior parte di quelli che lasciavano il vecchio
continente.
Terminata la tratta mediterranea, il pomeriggio del 17 marzo la nave fu in vista della baia di Gibilterra.
La navigazione procedeva con difficoltà perché era in corso una violenta tempesta che sballottava lo scafo e
non prometteva niente di buono. In queste condizioni, John McKeague, comandante della nave, decise dirigersi
ugualmente verso il porto per assicurare al vascello un ancoraggio sicuro.
Entrando nella baia di Gibilterra McKeague non si accorse che in rada c'erano diverse navi da guerra britanniche.
Nel tragitto tra il capo Europa, la punta meridionale del promontorio del possedimento britannico, e il
"Nuovo Molo" il comandante fece diminuire la velocità della nave e, mentre questa si stava addentrando nella
baia si rese conto con disappunto che l'ormeggio a cui abitualmente attraccava il suo vapore era occupato dalle
corazzate Hms “Anson" e Hms "Rodney". Decise di attraversare il braccio di mare davanti ai due vascelli della
Royal Navy ma in quel momento, secondo quanto riferì alla commissione di inchiesta il comandante, fu abbagliato
dal faro della corazzata "Anson" che scandagliava il porto di Gibilterra durante la burrasca.
Questo contrattempo
non gli permise di calcolare con esattezza la distanza tra l'"Utopia" e la nave da guerra. Ritenendo che fosse
maggiore del reale proseguì con la manovra ma, complice il vento di burrasca e la forza della corrente il
piroscafo scarrocciò verso la prua della "Anson" finendo con lo scafo contro il rostro sommerso della corazzata
britannica. Secondo il terzo ufficiale dell'"Utopia" lo speronamento avvenne alle 6,36 p.m. Immediatamente si
aprì una falla larga circa 16 piedi e l'acqua iniziò a penetrare nelle stive. Il comandante McKeague pensò di
far arenare il piroscafo ma nel frattempo i fuochisti (o l'ufficiale di macchina) avevano spento le caldaie per
evitare che queste esplodessero appena raggiunte dall'acqua di mare. Impossibilitato a manovrare McKeague diede
l'ordine di calare le scialuppe di salvataggio ma l'inclinazione dello scafo, sbandato a dritta di circa 70
gradi, non permise neanche questa manovra e ai passeggeri non restò che affidarsi alla sorte e ai propri mezzi.
Il piroscafo affondò in meno di venti minuti adagiandosi sul fondale sabbioso della baia di Gibilterra, portando
con se centinaia di passeggeri rimasti intrappolati sottocoperta.
Nel naufragio persero la vita o risultarono dispersi 562 tra emigranti e membri dell'equipaggio. I pochi che si
salvarono vi riuscirono perché rimasero aggrappati agli alberi del vapore, rimasti fuori dall'acqua, o perché
soccorsi dal coraggio dei marinai delle navi da guerra presenti nel porto che misero in mare le proprie
scialuppe di salvataggio (2).
La cruda contabilità della tragedia ci dice che 318 persone scamparono al naufragio. Tra di loro c'erano 290
emigranti di terza classe, due passeggeri di prima e ventisei membri dell'equipaggio. Tutti gli altri seguirono
la sorte della nave: nei giorni seguenti alcuni palombari della Royal Navy si calarono sul relitto dell'"Utopia"
e riportarono la testimonianza di scene terribili. Le centinaia di corpi dei passeggeri rimasti intrappolati
nella stiva "erano così intrecciati l'uno all'altro che formavano un unico ammasso difficile da districare".
L'inchiesta
Il giorno seguente il naufragio il comandante dell'"ss Utopia"' John McKeague venne imprigionato dalle autorità
di Gibilterra ma fu subito rimesso in libertà in seguito al pagamento di una cauzione di 480 sterline. Il 23
marzo si riunì, per la prima volta, la corte del Tribunale marittimo presieduta da Charles Cavendish Boyle,
comandante del porto di Gibilterra, supportato dai comandanti delle navi da guerra in rada e da personale civile
del governatorato. Dopo aver preso atto delle testimonianze del comandante McKeague e dei suoi ufficiali
sopravvissuti al naufragio, furono ascoltati, in qualità di testimoni, anche alcuni ufficiali delle navi da
battaglia Hms "Anson", Hms "Immortalité" e Hms "Camperdown". Il 24 marzo la corte emise il verdetto: il
comandante McKeague fu ritenuto "responsabile di un grave errore di giudizio a causa del quale la sua nave è
affondata e c'è stata la perdita di vite umane". Secondo la corte il comandante dell'"Utopia" non aveva ben
valutato la presenza di altre navi all'interno del porto e aveva ordinato una manovra errata facendo
disincagliare la sua nave dal rostro di prua della corazzata "Anson".
Il giorno seguente (era il 25 marzo) la corte del tribunale marittimo di Gibilterra tornò a riunirsi nuovamente
per ascoltare altri due testimoni (si trattava di due passeggeri italiani che non aggiunsero nulla di nuovo alla
ricostruzione dei fatti) e le osservazioni della difesa. Dopo essersi riuniti in consiglio i membri della corte
decisero che rimaneva valida la sentenza emessa il giorno precedente e ritenevano, altresì non necessario,
ritirare il brevetto di comandante a John McKeague.
In questo modo piuttosto sbrigativo la vicenda giudiziaria relativa al naufragio dell'"Utopia" ebbe termine ma
lo scontro giudiziario si protrasse in sede civile: si dovevano stabilire i risarcimenti ai familiari delle
vittime del naufragio e di chi fossero gli oneri occorrenti per la rimozione del relitto che rappresentava un
grave pericolo per la navigazione nella baia di Gibilterra. La vicenda relativa ai risarcimenti si trascinò per
mesi anche con scontri giudiziari assai violenti. Le difficoltà si ripercossero anche in sede politica facendo
giungere i due paesi (il Regno d'Italia e l'Impero britannico) ad un passo dalla rottura diplomatica.
Dopo alcuni mesi dal naufragio lo scafo del piroscafo affondato fu recuperato dalla società "Anchor Line" e
rimorchiato in Scozia, lungo le rive del fiume Clyde, con l'intenzione di renderlo di nuovo atto alla
navigazione. In realtà il relitto dell'"Utopia rimase abbandonato per anni fino a quando, nel 1900, non fu
venduto e smantellato per recuperare il metallo dello scafo.
Bibliografia
Lloyd' Register 1889: "Lloyd' Register of British and Foreign Shipping". Londra 1889.
Board of Trade 1891: "Board of Trade Wreck Report for 'Utopia' and Anson (HMS)". No. 4276, pp. 1–5.
Valentini 2013: M. Valentini, "Il naufragio dell'Utopia. Il Titanic degli abruzzesi dimenticati - 17
marzo 1891". Tabula Fati ed., Chieti 2013.
Gli atti processuali sul naufragio del piroscafo "Utopia". (Pdf-1.1 Mb)
Il piroscafo "Utopia" nel "Lloyd's Register of Shipping". (Consulta...)
The Raising of the "Utopia", "The Strand Magazine" (Pdf-13.1 Mb)
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