Da Terzaclasse.it

Didascalie

In alto: il generale La Marmora, capo di Stato Maggiore del Regio Esercito;
In basso: il generale Enrico Cialdini.

Nel sito

I documenti di Terzaclasse.it

Consulta i documenti di Terzaclasse.it "Documenti storici"


Visita il sito con un dispositivo "Mobile"

Ti può interessare...

Download

Non sono disponibili PDF

Link esterni

Terzaclasse.it > Le Storie dell'Italia liberale > La terza guerra di indipendenza italiana

La terza guerra di indipendenza italiana.

Le premesse

Il generale La marmora Mentre re Vittorio Emanuele II trattava segretamente con Mazzini che lo esortava a marciare alla testa delle sue truppe su Venezia, cercava pure di stabilire contatti diplomatici anche con l'Austria, ben conscio che l'Inghilterra era favorevole alla solidità dell'impero Austriaco vista in funzione della stabilità dello scacchiere europeo.
In contemporanea, e all'insaputa l'uno dell'altro, il presidente del Consiglio, il generale La Marmora intavolava colloqui diplomatici con la Prussia di Bismarck in vista di una possibile alleanza militare antiaustriaca. Appena Vienna ebbe sentore di tali trattative si disse disposta a cedere in via pacifica Venezia per garantirsi la neutralità dell'Italia. Il governo del Regno d'Italia respinse l'offerta perché reputava non onorevole acquisire il Veneto senza combattere, oltre che utile una significativa affermazione militare per rinsaldare la coscienza nazionale (e degli italiani).
Sulla base di queste premesse, nell'aprile del 1866 (8 aprile) fu firmato un trattato militare che sanciva l’alleanza della Prussia di Otto von Bismarck con il Regno d'Italia di Vittorio Emanuele II. Dal punto di vista militare lo Stato unitario si sentiva sicuro dei propri mezzi e il generale La Marmora era certo di avere a disposizione forze armate di tutto rispetto (circa 400.000 uomini). I numeri, in apparenza, gli davano ragione perché grazie all'unificazione il Regio Esercito aveva acquisito reparti provenienti dalle forze armate degli stati preunitari.

Lo stesso discorso valeva per la Regia Marina che aveva inglobato le unità e gli ufficiali delle altre marinerie. La quantità numerica, tuttavia, non rendeva giustizia del reale stato delle cose: l'efficienza delle forze armate del Regno era fortemente limitata da problemi di integrazione tra ufficiali e reparti che, fino a pochi anni prima, si erano combattuti. Il conflitto tra la Prussia e l'Italia da una parte e l'impero austriaco dall'altra prese avvio il 16 giugno del 1866. L'Italia, che aveva il compito di impegnare le armate austriache sul fronte meridionale, iniziò il conflitto non avendo ben chiara la strategia di intervento e la gerarchia di comando. Il presidente del Consiglio La Marmora chiese, e ottenne, di lasciare la guida del governo per tornare nell'esercito con la carica di Capo di Stato Maggiore.
La decisione fu piuttosto sofferta in quanto anche il re rivendicava il comando delle operazioni e il generale Cialdini si trovava su posizioni di aperto contrasto nei confronti del suo superiore. La diatriba fu risolta in maniera salomonica (anzi, si potrebbe dire, all'italiana) riservando il comando delle operazioni militari al sovrano, nominando il generale La Marmora capo di Stato Maggiore e lasciando a Cialdini una certa libertà di azione. I due alti ufficiali giunsero ad un accordo. La Marmora con la metà delle forze in campo avrebbe attaccato le fortificazioni austriache del Quadrilatero, mentre Cialdini, con il resto dell'esercito, avrebbe superato il Po aggirando le posizioni austriache. Nonostante i piani concordati, l'assenza di una comune veduta strategica e il mancato collegamento tra le due armate fecero in modo che le due ali del Regio Esercito procedessero in modo autonomo (in pratica, durante le operazioni avevamo due eserciti indipendenti l'uno dall'altro).

Le operazioni militari

Il generale Enrico Cialdini La Marmora, infatti, portando l'attacco alle fortezze austriache del Quadrilatero riteneva che il Cialdini sarebbe intervenuto in suo supporto con la manovra di aggiramento, mentre quest'ultimo era sicuro di avere la priorità delle operazioni e che, invece, fosse La Marmora ad avere compiti di disturbo. Il Capo di Stato Maggiore si mosse in anticipo: già il giorno 24 mosse il suo esercito con l'intenzione di affrontare gli austriaci tra Mantova e Peschiera. Ma, nonostante la superiorità numerica dei suoi uomini, subì una modesta sconfitta militare a Custoza che subito si trasformò, per l'evidente incapacità dei comandi nel gestire la situazione, in una disfatta con successiva ritirata.
In questo frangente, il generale Cialdini che avrebbe potuto raddrizzare l'esito dello scontro ripiegò, nonostante gli ordini contrari di La Marmora, verso Modena determinando così il definitivo successo delle truppe imperiali. Dal disastro italiano si salvò solo la II Divisione comandata dall'ex generale borbonico Pianell che riuscì a tenere testa all'esercito austriaco sul Mincio ma, a causa del marasma generale fu anch'essa costretta a ripiegare.
In luglio, dopo aver riorganizzato l'esercito e definito la gerarchia di comando, gli italiani ripresero l'iniziativa. Il generale Cialdini con il grosso delle truppe passò all'offensiva occupando Padova (12 luglio), Treviso (14 luglio), Vicenza (21 luglio) e Udine (22 luglio). Il generale La Marmora tenne il blocco sul Quadrilatero e Garibaldi sconfisse gli austriaci nella battaglia di Bezzecca (21 luglio) in Trentino ma, per motivi politici (stava per essere firmato l'armistizio tra l'Italia e l'Austria) gli fu ordinato, subito dopo, di ripiegare.

Il Generale rispose al Comando Supremo con il famoso telegramma “Obbedisco”. In parallelo con l'offensiva terrestre il comando italiano decise di cercare la “buona battaglia” anche in mare in modo che si potesse far valere al tavolo della trattative di pace. Tuttavia non si erano fatti i conti con le capacità militari del comandante della flotta, l'ammiraglio Persano. Questi, costretto a lasciare il porto di Ancona con le sue unità navali, si mosse alla volta dell'isola di Lissa, posta lungo le coste dalmate, con l'intento di bombardarvi la base navale austriaca. Avvisati dell'attacco italiano, gli austriaci accorsero in soccorso con una squadra navale comandata dell'ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff.
Lo scontro tra le due flotte avvenne la mattina del 20 luglio e, nonostante la evidente superiorità italiana, la flotta di Persano, per imperizia del proprio comandante, subì gravi danni e vide l'affondamento di due sue unità: il Palestro e il Re d'Italia che causarono la morte di ben 643 marinai. Rientrato alla base l'ammiraglio italiano, incredibilmente, annunciò la vittoria ma subito dopo si apprese come era effettivamente andato lo scontro navale. Nel gennaio del 1867 l'ammiraglio fu messo sotto processo e riconosciuto colpevole di negligenza: fu pertanto degradato, privato della pensione e obbligato a pagare le spese processuali.
L'armistizio sopraggiunse il 12 luglio (armistizio di Cormons) grazie alla schiacciante vittoria prussiana di Sadowa ottenuta dal comandante Helmuth von Moltke sulle truppe dell'impero austriaco. Durante le trattative di pace, tuttavia, Vienna non volle riconoscere il ruolo avuto dall'Italia durante la guerra e ottenne di consegnare il Veneto alla Francia che, subito dopo, ne avrebbe fatto dono al Regno d'Italia. L'annessione dei nuovi territori fu sancita da un plebiscito (21-22 ottobre) i cui risultati indicarono che la totalità dei votanti voleva l'annessione.

Bibliografia

Cammarano F., “Storia dell’Italia liberale”, Editori Laterza, Roma-Bari 2011.

Duggan, C., “La forza del destino. Storia dell’Italia dal 1796 ad oggi”, Editori Laterza, Roma-Bari 2007.

Mack Smith D., “Storia d’Italia dal 1861 al 1997”, Editori Laterza, Roma-Bari 2010.

Per approfondire

Non ci sono documenti collegati.

Copyright: Terzaclasse.it 2013