Le premesse
Mentre re Vittorio Emanuele II trattava segretamente con Mazzini che lo esortava a marciare alla testa delle
sue truppe su Venezia, cercava pure di stabilire contatti diplomatici anche con l'Austria, ben conscio che
l'Inghilterra era favorevole alla solidità dell'impero Austriaco vista in funzione della stabilità dello
scacchiere europeo.
In contemporanea, e all'insaputa l'uno dell'altro, il presidente del Consiglio, il generale La Marmora
intavolava colloqui diplomatici con la Prussia di Bismarck in vista di una possibile alleanza militare
antiaustriaca. Appena Vienna ebbe sentore di tali trattative si disse disposta a cedere in via pacifica
Venezia per garantirsi la neutralità dell'Italia. Il governo del Regno d'Italia respinse l'offerta perché
reputava non onorevole acquisire il Veneto senza combattere, oltre che utile una significativa affermazione
militare per rinsaldare la coscienza nazionale (e degli italiani).
Sulla base di queste premesse, nell'aprile del 1866 (8 aprile) fu firmato un trattato militare che sanciva
l’alleanza della Prussia di Otto von Bismarck con il Regno d'Italia di Vittorio Emanuele II. Dal punto di
vista militare lo Stato unitario si sentiva sicuro dei propri mezzi e il generale La Marmora era certo di
avere a disposizione forze armate di tutto rispetto (circa 400.000 uomini). I numeri, in apparenza, gli davano
ragione perché grazie all'unificazione il Regio Esercito aveva acquisito reparti provenienti dalle forze armate
degli stati preunitari.
Lo stesso discorso valeva per la Regia Marina che aveva inglobato le unità e gli
ufficiali delle altre marinerie. La quantità numerica, tuttavia, non rendeva giustizia del reale stato delle
cose: l'efficienza delle forze armate del Regno era fortemente limitata da problemi di integrazione tra
ufficiali e reparti che, fino a pochi anni prima, si erano combattuti. Il conflitto tra la Prussia e l'Italia
da una parte e l'impero austriaco dall'altra prese avvio il 16 giugno del 1866. L'Italia, che aveva il compito
di impegnare le armate austriache sul fronte meridionale, iniziò il conflitto non avendo ben chiara la strategia
di intervento e la gerarchia di comando. Il presidente del Consiglio La Marmora chiese, e ottenne, di lasciare
la guida del governo per tornare nell'esercito con la carica di Capo di Stato Maggiore.
La decisione fu
piuttosto sofferta in quanto anche il re rivendicava il comando delle operazioni e il generale Cialdini si
trovava su posizioni di aperto contrasto nei confronti del suo superiore. La diatriba fu risolta in maniera
salomonica (anzi, si potrebbe dire, all'italiana) riservando il comando delle operazioni militari al sovrano,
nominando il generale La Marmora capo di Stato Maggiore e lasciando a Cialdini una certa libertà di azione.
I due alti ufficiali giunsero ad un accordo. La Marmora con la metà delle forze in campo avrebbe attaccato
le fortificazioni austriache del Quadrilatero, mentre Cialdini, con il resto dell'esercito, avrebbe superato
il Po aggirando le posizioni austriache. Nonostante i piani concordati, l'assenza di una comune veduta
strategica e il mancato collegamento tra le due armate fecero in modo che le due ali del Regio Esercito
procedessero in modo autonomo (in pratica, durante le operazioni avevamo due eserciti indipendenti l'uno
dall'altro).
Le operazioni militari
La Marmora, infatti, portando l'attacco alle fortezze austriache del Quadrilatero riteneva che il Cialdini
sarebbe intervenuto in suo supporto con la manovra di aggiramento, mentre quest'ultimo era sicuro di avere la
priorità delle operazioni e che, invece, fosse La Marmora ad avere compiti di disturbo. Il Capo di Stato
Maggiore si mosse in anticipo: già il giorno 24 mosse il suo esercito con l'intenzione di affrontare gli
austriaci tra Mantova e Peschiera. Ma, nonostante la superiorità numerica dei suoi uomini, subì una modesta
sconfitta militare a Custoza che subito si trasformò, per l'evidente incapacità dei comandi nel gestire la
situazione, in una disfatta con successiva ritirata.
In questo frangente, il generale Cialdini che avrebbe
potuto raddrizzare l'esito dello scontro ripiegò, nonostante gli ordini contrari di La Marmora, verso Modena
determinando così il definitivo successo delle truppe imperiali. Dal disastro italiano si salvò solo la II
Divisione comandata dall'ex generale borbonico Pianell che riuscì a tenere testa all'esercito austriaco sul
Mincio ma, a causa del marasma generale fu anch'essa costretta a ripiegare.
In luglio, dopo aver riorganizzato
l'esercito e definito la gerarchia di comando, gli italiani ripresero l'iniziativa. Il generale Cialdini con
il grosso delle truppe passò all'offensiva occupando Padova (12 luglio), Treviso (14 luglio), Vicenza
(21 luglio) e Udine (22 luglio). Il generale La Marmora tenne il blocco sul Quadrilatero e Garibaldi sconfisse
gli austriaci nella battaglia di Bezzecca (21 luglio) in Trentino ma, per motivi politici (stava per essere
firmato l'armistizio tra l'Italia e l'Austria) gli fu ordinato, subito dopo, di ripiegare.
Il Generale rispose
al Comando Supremo con il famoso telegramma “Obbedisco”. In parallelo con l'offensiva terrestre il comando
italiano decise di cercare la “buona battaglia” anche in mare in modo che si potesse far valere al tavolo
della trattative di pace. Tuttavia non si erano fatti i conti con le capacità militari del comandante della
flotta, l'ammiraglio Persano. Questi, costretto a lasciare il porto di Ancona con le sue unità navali, si
mosse alla volta dell'isola di Lissa, posta lungo le coste dalmate, con l'intento di bombardarvi la base
navale austriaca. Avvisati dell'attacco italiano, gli austriaci accorsero in soccorso con una squadra navale
comandata dell'ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff.
Lo scontro tra le due flotte avvenne la mattina del 20 luglio e, nonostante la evidente superiorità italiana,
la flotta di Persano, per imperizia del proprio comandante, subì gravi danni e vide l'affondamento di due sue
unità: il Palestro e il Re d'Italia che causarono la morte di ben 643 marinai. Rientrato alla base l'ammiraglio
italiano, incredibilmente, annunciò la vittoria ma subito dopo si apprese come era effettivamente andato lo
scontro navale. Nel gennaio del 1867 l'ammiraglio fu messo sotto processo e riconosciuto colpevole di
negligenza: fu pertanto degradato, privato della pensione e obbligato a pagare le spese processuali.
L'armistizio sopraggiunse il 12 luglio (armistizio di Cormons) grazie alla schiacciante vittoria prussiana
di Sadowa ottenuta dal comandante Helmuth von Moltke sulle truppe dell'impero austriaco. Durante le trattative
di pace, tuttavia, Vienna non volle riconoscere il ruolo avuto dall'Italia durante la guerra e ottenne di
consegnare il Veneto alla Francia che, subito dopo, ne avrebbe fatto dono al Regno d'Italia. L'annessione
dei nuovi territori fu sancita da un plebiscito (21-22 ottobre) i cui risultati indicarono che la totalità
dei votanti voleva l'annessione.
Bibliografia
Cammarano F., “Storia dell’Italia liberale”, Editori Laterza, Roma-Bari 2011.
Duggan, C., “La forza del destino. Storia dell’Italia dal 1796 ad oggi”, Editori Laterza, Roma-Bari 2007.
Mack Smith D., “Storia d’Italia dal 1861 al 1997”, Editori Laterza, Roma-Bari 2010.
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