Si comincia a parlare dello scandalo
Il primo scandalo politico-finanziario che coinvolse le principali Istituzioni del Regno d’Italia (Parlamento
e istituti bancari) investì la società italiana sul finire dell’800 coinvolgendo eminenti politici, banchieri
e il mondo economico legato al settore del credito edilizio.
Le premesse di questa grave crisi finanziaria affondano le radici nella tumultuosa fase di urbanizzazione che
ebbe luogo a Firenze, e soprattutto Roma, dopo il trasferimento da Torino della capitale del nuovo Stato.
Le due città furono investite da una travolgente febbre edilizia che alterò in maniera significativa il panorama
urbano e incrementare le truffe finanziarie senza che vi fosse un adeguato controllo da parte delle Istituzioni
e delle banche che si trovarono coinvolte esse stesse in operazioni assai poco trasparenti.
Lo scandalo della
Banca Romana si alimentò in questo contesto fino ad arrivare ad un punto di rottura nel momento in cui una
crisi del settore delle costruzioni trovò l’Istituto capitolino, e altri istituti di minor rilievo, esposti
finanziariamente sul fronte dei mutui edilizi che non riuscirono più ad onorare per mancanza di liquidità.
Si venne a sapere, così, che la Banca, che faceva parte del quel ristretto numero di istituti che godevano del
privilegio di emettere carta moneta per conto dello Stato (gli istituti di emissione erano sei: la Banca
Nazionale nel Regno d’Italia, la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di Credito per le Industrie e il
Commercio, il Banco di Napoli, la Banca di Sicilia e, infine, la Banca Romana), aveva commesso gravi irregolarità
contabili tanto che il suo governatore Bernardo Tanlongo fu accusato di aver fatto stampare un gran numero di
banconote contraffatte (con numeri di serie doppi) per un controvalore di molto eccedente il limite fissato dallo
Stato. Si comprese, inoltre, che il livello di irregolarità era molto diffuso in quanto gli istituti di credito
più esposti godevano di appoggi e protezioni politiche grazie alla accondiscendenza di molti deputati che avevano
usufruito di parecchi “prestiti” agevolati e mai rimborsati.
Le commissioni di inchiesta
Alla fine del 1889 l’affaire raggiunse una tale risonanza che non poté essere più sottaciuto. In un primo
momento, fu lo stesso governo che tentò di insabbiare lo scandalo in quanto molti suoi componenti (a partire
dallo stesso Presidente del consiglio Francesco Crispi) erano stati i beneficiari delle irregolarità contabili
ma, infine, sopraffatto dagli eventi, il ministro dell’industria Miceli istituì una commissione di inchiesta
presieduta dall’ispettore ministeriale Alvisi.
L’indagine parlamentare riuscì a dimostrare che molti istituti di credito avevano una gestione finanziaria poco
accorta a cui si accompagnava un diffuso malcostume politico che vedeva molti parlamentari debitori di ingenti
somme nei confronti delle banche.
La commissione Alvisi, tuttavia, non riuscì mai a pubblicare i suoi risultati proprio per l’ostruzionismo
operato da vasti settori parlamentari coinvolti nello scandalo. La questione fu ripresa nel 1892 dal senatore
Napoleone Colajanni che, venuto in possesso del testo dell’Alvisi, lo rese finalmente pubblico.
Giolitti, che nel frattempo era diventato il nuovo Presidente del consiglio, cercò di insabbiare nuovamente lo
scandalo (con il convinto appoggio del suo predecessore Francesco Crispi) ma, alla fine, anch’egli fu costretto
a cedere e a nominare una nuova commissione d’inchiesta (la commissione Finali) a cui fece seguito, nel marzo
del 1893, una terza commissione d’inchiesta (presieduta dall’onorevole Mordini) che fece finalmente luce sulle
gravi irregolarità commesse dalle banche.
Si venne così a sapere del coinvolgimento di parecchi deputati (anche di primo piano) che figuravano nei libri
paga degli istituti bancari e si comprese anche il livello di coinvolgimento che aveva avuto Francesco Crispi
nella questione. Il deputato siciliano, infatti, era pesantemente esposto nei confronti delle banche da cui
aveva ricevuto ingenti “finanziamenti” tanto che si era adoperato più volte per mettere a tacere lo scandalo.
Crispi cercò di coinvolgere anche Giolitti che fu, a sua volta, accusato di aver ricevuto denaro dalla Banca
Romana ma questa accusa non fu mai provata in modo inequivocabile. Il deputato piemontese, preoccupato per le
accuse che gli venivano mosse dall’entourage di Francesco Crispi, dopo che aveva messo a disposizione del
Parlamento le carte che accusavano lo statista preferì dimettersi da Presidente del consiglio e riparare
all’estero (in Germania) per breve tempo.
Il 10 agosto 1893 venne approvata la legge 449. Con questo Testo il Parlamento mise ordine nelle nel settore
bancario mettendo, tra l’altro, in liquidazione la Banca Romana e sancì la nascita della Banca d’Italia che
avvenne grazie alla fusione della Banca Nazionale del Regno, della Banca Toscana e della Banca Toscana di
Credito. Il nuovo istituto, anch’esso privato, ebbe dallo Stato la possibilità di emettere carta moneta insieme
al Banco di Napoli e la Banca di Sicilia che mantennero questo privilegio fino al 1926 quando con la legge 812
del 6 maggio la Banca d’Italia divenne l’unico istituto autorizzato alla stampa delle banconote.
Bibliografia
Cammarano F., “Storia dell’Italia liberale”, Editori Laterza, Roma-Bari 2011.
Duggan, C., “La forza del destino. Storia dell’Italia dal 1796 ad oggi”, Editori Laterza, Roma-Bari 2007.
Mack Smith D., “Storia d’Italia dal 1861 al 1997”, Editori Laterza, Roma-Bari 2010.
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