Il poeta del piccone e della pala
“Prendi le cipolle da sotto il letto che ce le arrostiamo e ce le mangiamo”: inizia così il racconto che Pascal, ormai
lontano dalla casa paterna, ha della sua infanzia, della sua terra e in particolare della nonna morta quando lui aveva solo
quattro anni.
Nato in una frazione di Introdacqua il 20 gennaio 1894 era figlio di una modesta famiglia di contadini, primo di due figli.
Frequentò con profitto le scuole primarie, nel piccolo edificio rurale della contrada "Cauze", in modo discontinuo dovendo
aiutare i genitori nei lavori dei campi e soprattutto accudire il piccolo gregge di pecore e capre che costituiva la vera
ricchezza della famiglia. Si distinse ben presto tra i coetanei sia per la sua vivacità, sovente fonte di guai, sia per le
sue spiccate capacità di apprendimento e le sue doti di ascoltare gli adulti per trarne insegnamento: Melengo l’anziano
contadino che era stato in sud America, Alberto il pastore stimato per la sua sincerità e la vecchia fattucchiera sono tra i
personaggi che restarono vividi nei ricordi della sua brevissima infanzia. All’età di 12 anni Pasquale smise di frequentare
la scuola lasciandosi alle spalle la fanciullezza ed entrando definitivamente nel duro mondo del lavoro dei campi.
Dopo un lungo periodo di fatica e di privazioni una sera, rincasando, il giovane Pasquale trovò la madre che, affacciata alla
finestra, singhiozzava sommessamente. Preoccupato, le chiese più volte spiegazioni e solo dopo varie insistenze venne a sapere
che il padre, stanco della vana fatica, aveva deciso di partire per trovare “lamerica”.
Fino al giorno della partenza per Napoli dove il giovane Pasquale, il padre e il resto dei compaesani si sarebbero imbarcati
sul piroscafo che li avrebbe condotti negli Stati Uniti, il ragazzo non si era mai mosso dal paese natio e, soprattutto, non
era mai salito su di un treno: “Sentii il fragore del treno – né muli né cavalli a trascinarlo…”. Grande fu, pertanto, la
meraviglia per questo avveniristico mezzo di trasporto. La meraviglia che per un attimo lo rapì dalle sofferenze causate dal
distacco materno e lo consegnò alle scoperte della vita che stava per iniziare.
Salparono da Napoli il 7 aprile a bordo del “Celtic” della White Star. Pasquale non aveva visto mai il mare e
tanto meno una nave come quella: “Sconcertato mi chiedevo come avrebbe fatto a stare a galla per molti giorni quel coso
enorme”.
Dopo dodici giorni di viaggio trascorsi nei disagi della terza classe, il 19 aprile sbarcarono ad Ellis Island con qualche
fagotto, un piccolo gruzzolo nelle tasche (forse 90 dollari?) e tante speranze. Superati i controlli sanitari e le formalità
di rito a cui venivano sottoposti gli emigranti nella stazione federale per l’emigrazione di New York, il giorno seguente
furono finalmente liberi di iniziare la loro avventura americana, che li porterà, tra una scoperta e l’altra (il tram
sopraelevato, una lingua incomprensibile), nel duro mondo lavorativo in cui il “caposquadra” rappresenterà una figura
fondamentale. Ad attenderli alla “Battery” c’era Mario Lancia, il caposquadra che li aveva ingaggiati per la
costruzione di nuove strade a Hillsdale.
L’impatto con la realtà americana sarà duro perché la terra promessa offrirà “solo”
privazioni, angherie e fatica. Lontano da qualsiasi contesto umano, abbandonati in mezzo al nulla, il piccolo gruppo di
Introdacqua cercherà di resistere alle difficoltà contando solo su se stesso. I problemi da affrontare saranno insormontabili
e con il tempo la comunità inizierà a sfaldarsi. Molti suoi componenti si daranno per vinti e prenderanno altre strade;
altri, completamente rassegnati, riprenderanno la via dell’Italia. E’ questo il caso di Angelo D’Angelo, il padre di Pascal,
che stufo di patire privazioni peggio che in patria, prenderà la via del ritorno.
Rimasto caparbiamente in “America” il giovane emigrante è deciso a mettere in gioco la sua vita fino in fondo perché è
convinto che “da qualche parte in questo paese avrei trovato la luce”. Fatto ritorno a New York, il D’Angelo inizia a
lavorare come operaio di fatica per le ferrovie ma ben presto si rende conto che se vorrà dare una vera svolta alla sua
vita dovrà necessariamente padroneggiare la lingua degli americani. L’inglese come mezzo per far conoscere la sue emozioni,
la sua storia.
Dopo innumerevoli patimenti arriverà la luce: nel 1924 verrà pubblicata la sua prima poesia su una rivista a
larga diffusione. La notorietà movimenterà solo in modo episodico la vita del poeta abruzzese. Egli non potrà (o non vorrà?)
approfittare delle opportunità offerte dalla notorietà tanto che continuerà a condurre la solita esistenza grama.
L’oblio giungerà subito dopo e Pascal D’angelo, tornato alla solita vita, morirà nel 1932, da solo, in un ospedale di Brooklyn.
Bibliografia
D'Angelo, P., “Son of Italy”, Macmillan, New York 1924.
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