Per la nostra emigrazione - Gli effetti della nuova legge
(Il Giornale d'Italia 1° dicembre 1901)
(corrisp. particolare del Giornale d’Italia).
New York, 22 dicembre.
Speravo, facendo ritorno in America, massime dopo i provvedimenti dalla nuova legge recente, di non aver più occasione di
parlarne, sopratutto in senso pessimista. Ma poiché me ne francano i fatti osservati giorno per giorno e ne invita il dovere di
giornalista coscienzioso, farò qui alcune considerazioni di ordine generale sull’efficacia – chiaritasi negativa all’atto pratico
– della legge medesima in rapporto al trattamento inumano e brutale, che le società tedesche, non senza rialzare la tariffa di
nolo, fanno ai nostri poveri emigranti di terza.
A parte qualunque considerazione di ordine igienico, ciò che mi ha maggiormente impressionato viaggiando sul piroscafo «Aller»
del «Lloyd Germanico», furono i maltrattamenti subiti dai nostri emigranti; maltrattamenti selvaggi che trovano forse riscontro
nella storia della passata dominazione austriaca in Italia.
Una mattina, mi ricordo, a metà strada tra Napoli e Gibilterra, il commissario di bordo chiama all’appello in coperta
tutti i passeggeri di terza per una delle tante vessatorie operazioni di controllo cui vanno sottoposti, viaggiando, gli emigranti
in genere. Si trattava di riconsegnare ai titolari le carte di congedo, i passaporti e gli altri documenti (quanto spreco di
carta!) necessari allo sbarco. Il mare grosso e agitato, avea confinato tutti i poveri emigranti, circa ottocento in tutto, giù
in fondo alle stive, poco areate e malsane, non ostante i ventilatori elettrici, dove i vomiti e il travaglio di stomaco e i
maltrattamenti pur dianzi subiti durante la distribuzione del rancio avevano finito di esaurire le ultime resistenze del loro
organismo estenuato ed avvilito per ragioni fisiche non meno che morali. L’operazione di controllo poteva pertanto, anche per
ragioni di semplice umanità, essere rimandata, o procedere se mai, in altra maniera. Nossignori! Donne, vecchi e fanciulli
ammucchiati e spinti come mandre di pecore, venivano trascinati all’esame dei documenti, in mezzo ai pianti, ai vomiti e alle
suppliche; agli urtoni ed alle minacce inconcepibili dei marinai tedeschi: donne che trascinavansi o camminavano reggendosi a
stento, intontite dallo spavento e recanti in braccio i bambini poppanti che si avvinghiavano, impauriti, al collo delle mamme; e
vecchi cadenti dall’età tardissima spinti brutalmente avanti e qualche volta percossi. Storico!
E le autorità italiane?
A bordo, veramente, ve n’ha soltanto l’immagine; ed è rappresentata debolmente, direi quasi troppo timidamente, da un
capitano medico di marina, il quale buon per lui, non assiste a queste operazioni troppo umili forse per richiedere la sua
presenza. Così la nuova legge, argomento di tante discussioni accademiche e oggetto, tra noi tutti, di tante speranze; questa
legge, che parve provvida agli inesperti, sotto il cui imperio navigava il piroscafo «Aller», rimane, nella sua applicazione
pratica, una lettera morta. Io no so, in questo senso, qual misterioso ed occulto tornaconto possano trovare le società straniere
ad eludere il disposto della legge scritta, o al fare il proprio comodo, non sempre umano come vedemmo, in barba alla medesima e
sotto gli occhi del rappresentante di quell’autorità tutoria, la quale potrebbe, tra le altre (e sarebbe opera provvida e
meritoria), ostacolare se non impedire addirittura, che i nostri emigranti prendano imbarco sui loro navigli.
La nuova legge che ha creato tanti posti e soddisfatto tante piccole ambizioncelle, mancherebbe al suo scopo altamente civile se
non riuscisse a proteggere efficacemente alla gente nostra, almeno durante il percorso dai porti nostri a quelli di destinazione
e di sbarco. Ancona (ancora?): una tutela energica la quale assicuri agli emigranti un buon trattamento durante il periodo
dell’imbarco rafforzerebbe in loro o creerebbe addirittura quella fiducia nel prestigio del patrio governo, la quale, ora come
ora, viene meno nell’animo di tutti.
Né si dica che a proteggerli e a difenderli dall’arbitrio di questa brutale gente di mare
bastino il dottore militare italiano e il famoso libro dei reclami numerato e bollato ad ogni pagina. Il primo, che nel caso
speciale, fu cara, gentile e umanissima persona, fece perfin l’impossibile per assicurare agli emigranti il miglior trattamento;
ma solo, in mezzo a gente straniera avida e abilissima, è soggetto anche egli a lasciarsi continuamente ingannare. Del libro dei
reclami non è neppure il caso di parlarne; ne gli emigranti, ritrosi per natura e giustamente sospettosi di rappresaglie e
difficoltà nello sbarco, hanno mai voluto servirsene, non ostante le insistenze di chi, per ragioni di nazionalità, non ha
potuto farne uso. Anche questa del libro dé reclami è, dunque, una disposizione incompleta; a me che pare sarebbe più utile
che lo stesso dottore fosse incaricato di interrogare personalmente gli emigranti assicurandoli che nello stesso tempo le loro
proteste scritte non solo avrebbero corso efficace di considerazione presso le autorità dello stato, ma non potrebbero mai e poi
mai autorizzare e tanto meno giustificare contro di essi alcuna rappresaglia per parte del comandante o di chiunque sia. Cosi,
come stanno le cose, il Governo non arriverà mai a conoscere la verità. Tutti a bordo – ad eccezione del dottore militare che
ignora anche lui cose più gravi – hanno l’interesse di nasconderla; perché tutti, nascondendola, guadagnano fama e quattrini.
Tali fatti da me osservati e notati giorno per giorno, ora per ora; fatti dolorosi e gravissimi che non mi pare onesto
né utile sottrarre al giudizio del pubblico continuamente ingannato e turlupinato; ma sopratutto di chi ha lo stretto sacrosanto
dovere di occuparsene ufficialmente per la tutela dé diritti e del prestigio italiano.
Calla.
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