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Il mulino fu il luogo dove la tassa sul macinato veniva riscossa dallo Stato. Il mugnaio doveva assolvere anche alla figura (odiosa agli occhi dei contadini tartassati) di esattore.

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1868 - Introduzione della tassa sul macinato

Ruota di un mulino ad acqua Introduzione della "Tassa sul macinato" da parte del governo di Luigi Menabrea. Il nuovo provvedimento fiscale era finalizzato al risanamento dei bilanci dello stato messi a dura prova dalle spese sostenute per l'unificazione del Regno d'Italia.
La norma, promulgata il 7 luglio, entrò in vigore a partire dal 1° gennaio 1869 per poi essere, definitivamente abrogata dal governo presieduto da Benedetto Cairoli nel 1880. La tassa imponeva di versare nelle casse dello Stato un'imposta calcolata direttamente all'interno del mulino in base alla quantità di granaglie macinate. Il mugnaio diveniva così, anche se indirettamente, un esattore delle tasse e per questo ruolo fu spesso considerato dai propri clienti una figura di cui bisognava diffidare. L'ammontare della tassa era calcolata da un contatore meccanico applicato alla ruota del mulino e ammontava a 2 lire al quintale per il grano, di 1,20 lire per l'avena, di 0,80 lire per il mais e la segale e di 0,50 lire per le castagne.
Le conseguenze del provvedimento furono immediate: ci fu un forte incremento del prezzo del pane e dei suoi derivati che portò alle note rivolte contadine, passate alla storia come i "moti del macinato", che spesso furono represse nel sangue dalle truppe del generale Raffaele Cadorna a cui erano stati conferiti pieni poteri di intervento.

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