Libro Verde sui fatti d'Africa
4. Il Governatore dell'Eritrea al Ministro della Guerra.
Asmara, 22 marzo 1896.
Mi fo dovere di trasmettere a V. E. il rapporto sulla difesa di Macallè (annesso), compilato in base ai ricordi personali propri
e di pochi altri ufficiali e graduati superstiti del 3° battaglione indigeni, dal tenente sig. Partini Umberto, aiutante maggiore
del battaglione, che già aveva redatto il primitivo rapporto. Questo era già pronto per la spedizione a cotesto Ministero, e non
si attendeva che il giornale d'assedio promesso dal tenente colonnello Galliano pel 2 corrente; ma andò perduto insieme agli
altri documenti di questo archivio in seguito agli avvenimenti del 1° marzo.
Baldissera.
Il tenente U. Partini al Governatore dell'Eritrea
Asmara, 20 marzo 1896. Mi onoro di riferire alla S. V. quanto mi è stato possibile ricordare, e raccogliere dai pochi ufficiali
e dai graduati di truppa superstiti dei reduci di Macallè circa la difesa di quel forte. Il giorno 8 dicembre 1895 alle ore 4 e
mezza la 1° compagnia (completa) e la 4° (su due centurie) del 3° battaglione agli ordini del maggiore Galliano cav. Giuseppe,
che aveva costituito la retroguardia della colonna del generale Arimondi, nella ritirata del combattimento di Mai Mesghi (Adua)
su Macallè rientrarono nel forte di Enda Jesus.
Ivi si unì al battaglione la 2° compagnia (meno una centuria, rimasta ad Asbi)
giunta ivi sin dal giorno precedente (7 dicembre).
Alle ore 14 del giorno 8 la colonna del generale Arimondi si ritirò verso
Adigrat, lasciando a presidio del forte i suindicati reparti del 3° battaglione indigeni rinforzati dalla 2° compagnia del 8°
battaglione indigeni, più 4 pezzi da montagna, due sezioni genio, un distaccamento della tappa, ed una sezione dei reali
carabinieri. Forza complessiva 20 ufficiali, 13 sott'ufficiali, circa 1000 indigeni e 150 italiani di truppa; 2 italiani, 3 greci
borghesi, ed alcuni prigionieri indigeni. Il signor maggiore Galliano assunse il comando. Il forte Macalléaveva uno sviluppo di
fuoco di circa 700 metri nella cinta bassa e di 300 nel ridotto (2 ordini di fuochi). I 4 pezzi erano collocati su piazzuole
nella parte più elevata del ridotto. Della cinta non era ancora completata la chiusura. Per circa 70 metri sul fronte ovest
mancava completamente il muro, e dovevasi terminare nei tratti vicini alle due poterne nord-est, ed all'ingresso sud. Le banchine
non esistevano ancora per circa 2 terzi dello sviluppo della cinta, e le due rampe di accesso mancavano affatto.
Nessun
traversone od opera accessoria era stata iniziata per difendere il presidio dai tiri d'infilata e di rovescio, che avrebbero
battuto il terrapieno e i parapetti delle (dalle? NdR) alture ad est e nord-est, e dal villaggio di Enda Jesus a sud, se tali
posizioni fossero cadute in possesso del nemico.
Un'opera staccata era stata iniziata nelle alture nord est-per rendere più lunga
la difesa esterna del forte, e per contrastare al nemico il possesso di esse alture; ma di detta opera, che nel concetto
primitivo doveva essere una caserma difensiva, non erano stati fatti che i lavori di sterro e la raccolta di parte dei materiali
occorrenti alla costruzione. I magazzini del forte erano provvisti di viveri e farina per circa 3 mesi; di orzo per un mese;
mancavano nell'interno depositi di legna e foraggi; non esistevano pozzi né cisterne. L'acqua dovevasi attingere in due sorgenti;
una di poca produzione giornaliera a sud subito avanti all'ingresso principale, l'altra più abbondante ad est, a circa 400 metri
di distanza dalla cinta.
Tutte e due le sorgenti trovavansi in burroni scendenti dall'altopiano di Enda Jesus, verso la pianura
di Macallè entrambi facilmente accessibili da detta pianura, ed al coperto dai tiri del forte, causa del sentito angolo morto.
Poche ore dopo la partenza della colonna Arimondi, furono interrotte le comunicazioni telegrafiche. Inviato un buluk coi
guadafili a riconoscere la causa di detta interruzione, fu constatato che per più chilometri presso il ciglione di Massabò era
stata tagliata ed asportata la linea. Il buluk aveva dovuto sostenere e respingere attacchi di paesani ribelli e di cavalieri
di Tedla Abaguben che volevano impedire il riattamento della linea stessa. Si rinunziò per mancanza di materiale a qualunque
tentativo in tal senso. Si fece anzi nei seguenti giorni ritirare quella parte di linea più sicura al forte per adoperarne il
filo nella costruzione delle difese accessorie.
Nella notte dalle 8 alle 9 grosse pattuglie di cavalleria che tentavano di
avanzarsi al forte , urtavano negli avamposti, causando un primo allarme. Un secondo fu dato poco dopo l'alba del 9 dicembre,
essendosi viste colonne di cavalleria sfilare ad est in direzione del nord. Durante tale allarme fu issata la bandiera che
rimase poi inalberata giornalmente dall'alba al tramonto, sino al 21 gennaio. Il mattino del 9 furono iniziati i lavori per il
completamento della cinta e della banchina, più la costruzione delle rampe di accesso, di traversoni provvisori in legnami e
sacchi a terra (sostituiti poi in gran parte con muri in pietra) della ridotta staccata da sostituirsi alla progettata caserma,
per costruire la quale non eranvi più nè mezzi nè tempo.
Nei giorni successivi si iniziò la distruzione dei campi indigeni
(tucul) e delle case in muratura che limitavano il tiro di fucileria dai parapetti, e si cominciò a raccogliere legna, foraggio
ed acqua per creare nel forte una provvista di riserva. Le corvè comandate a detto servizio dovettero spesso sostenere degli
scontri con gli abitanti dei paesi vicini, che tentavano impedire l'introduzione di detti materiali nel forte. Di maggiore
importanza furono quelli sostenuti da una centuria agli ordini del tenente contabile Giusti che aveva assunto il comando del
distaccamento Tappa, e l'altro impegnatosi fra il nemico ed una grossa pattuglia comandata dal brigadiere Arca dei RR.
Carabinieri.
In entrambi detti scontri si riuscì ad introdurre nel forte i materiali raccolti. Per rendere meno esposto
l'accesso all'acqua si costruì un tratto di strada coperto. Si fecero delle chiuse a valle della sorgente sud, in modo da porte
in una notte raccogliere, in tre vasche, acqua sufficiente per i bisogni del giorno successivo. Furono costrutte due piazzole di
artiglieria nella cinta bassa, presso il saliente nord-est, per poter battere, in parte, l'angolo morto in tal zona assai sentita
e distante dal piede della scarpa esterna meno di 100 metri. Tutti i giorni ascari reduci da combattimento Amba Alagi, molti dei
quali feriti si presentavano al forte. In principio eravene qualcuno riuscito a salvarsi combattendo cogli abitanti dei paesi
intorno a Macallè, ostili agl'Italiani, poi vennero quasi tutti disarmati; molti fuggiti dal nemico, dal quale erano stati
fatti prigionieri.
Da essi si raccoglievano notizie abbastanza esatte, che venivano trasmesse al comando del corpo d'operazione,
giornalmente, in duplice o triplice copia. Dopo la metà di dicembre fu dal signor comandante del forte ordinato che, non feriti
e disarmati fossero dagli avamposti fatti proseguire per Adigrat, e ciò per non introdurre nel forte elementi demoralizzatori e
bocche inutili, e perché l'inviarli al corpo d'operazione principale poteva per esso costituire buona fonte di informazione. Il
13 dicembre giunsero due preti dal campo nemico situato ancora oltre Scelicot.
Erano latori di una lettera pel generale Arimondi.
Un d'essi fu fatto proseguire su Adigrat, per recapitare la lettera, e l'altro rinviato al campo nemico. Dal 13 al 16 ras
Maconen inviò ripetutamente messi al comandante del forte per porsi con lui in relazione e trattare la pace. In detta
corrispondenza il Ras richiedeva insistentemente di sollecitare l'invio della risposta alla prima lettera inviata al generale
Arimondi. Intanto da informazioni risultava che le truppe nemiche si avanzavano sempre ed erano già accampate fra Afgol e
Scelicot. La sera del 16 giunse di ritorno da Adigrat il Cascì inviato al generale Arimondi; aveva una lettera di risposta
del Governatore al Ras e fu fatta proseguire subito per mezzo dello stesso latore. Consegnò anche al comandante del forte una
corrispondenza d'ufficio contenente direttive, la situazione e dislocazione delle truppe del corpo d'operazione ed un foglio
riservato, nel quale si autorizzava il comandante ad avviare, dietro richiesta del Ras, un ufficiale nel campo nemico, come
parlamentario. Detto ufficiale avrebbe dovuto tentare di mandare in lungo le trattative per guadagnare il tempo necessario al
concentramento del corpo d'operazione.
Doveva però assolutamente astenersi dall'entrare in discussioni vaghe col nemico, e
cercare se possibile, in via affatto privata e riservatissima, di richiamare ras Maconen alle trattative già in corso tra
lui ed il Governo (intermediario il cav. Felter) per un suo avvicinamento all'Italia. La mattina del 17 dagli avamposti fu
notato grande movimento di armati, che dispersisi nei campi a sud si ritirarono senza avvicinarsi ai piccoli posti. Erano
certamente razziatori venuti ad approvvigionarsi. Il 17 sera giunse un altro messo di Maconen, richiedendo una risposta, non
avendo ancora ricevuta quella portata dal Cascì la sera precedente.
Era latore di una lettera in cui richiedeva un ufficiale
fidato al quale il Ras avrebbe potuto aprire l'animo suo, e mandare la sua parola al governo. Il comandante del forte rispose
che avrebbe inviato l'ufficiale richiesto, purché il Ras avesse mandato a prenderlo da un suo capo di fiducia che potesse
garantire di lui lungo la strada. La mattina del 18 si ripeterono le scorrerie dei razziatori notate nel mattino precedente.
Alle ore 12 giunse il Blata Eucheda Tesamma per ricevere e scortare l'ufficiale richiesto.
Il signor comandante del forte
inviò alle 13 il tenente Partini come parlamentario, facendolo accompagnare dall'interprete muntaz Hamed Mohamet (2° compagnia
dell'8° battaglione) e dall'ascari Jusuf Gaio (2° del 3°) entrambi disarmati. Al mattino del 19 l'avanzarsi in numero assai
maggiore dei razziatori segnalati nei giorni precedenti produsse un all'armi che fece interrompere i lavori solo per pochi
minuti. Alle ore 17 il tenente andato parlamentario tornò al forte, riferì che Maconen lo aveva trattenuto la sera del 18
per presentarlo alla mattina seguente ai Ras, dai quali avrebbe inteso la parola da portarsi al governo; che era stato
ricevuto con gran pompa e gli si erano usate molte cortesie; permettendogli anche di intrattenersi a lungo col tenente Scala,
prigioniero, e di mangiare e dormire con lui: che la mattina avendo l'esercito nemico seguito uno spostamento su Felic Daro
aveva dovuto seguirlo, ed aveva potuto constatare avere il nemico circa 25 mila armati di buoni fucili, molte donne, servi e
quadrupedi al seguito; due cannoni presi ad Amba Alagi manovrati dagli abissini, e che, secondo le affermazioni del tenente
Scala, avrebbero avuto da 8 a 10 colpi per pezzo, che udita la parola dei Ras da portarsi al governo aveva chiesto, e gli era
stato accordato, di rientrare al forte, per riferire al suo superiore diretto, prima di proseguire nella sua missione.
La
mattina del 20 all'alba il tenente Partini ripartì per campo del Ras, per continuare poi su Adigrat. Alle 10 numerosa
cavalleria venuta in vicinanza dei piccoli posti fu respinta a colpi di cannone (N. 15) e da fucileria dagli avamposti. Il
comandante del forte mandò una lettera al Ras per protestare contro gli avvenuti atti di ostilità, non ammessi durante le
trattative in corso. Il Ras rispose che avrebbe punito chi si era abusivamente avvicinato. Il giorno 21 passò tranquillo.
Giunse un messo dal Governo con una lettera d'ufficio in cui era data la situazione e dislocazione del corpo d'operazione, e
si parlava di nuove forze inviate dall'Italia, per fare una campagna a fondo.
Si avvisava anche correr voce che Menelik fosse
già al di qua di Amba Alagi, ma che tale notizia meritava conferma. Anche il 22 la giornata fu tranquilla. Il 23 si notò
aumentato il movimento prodotto dai razziatori nemici, e il numero dei quadrupedi accompagnati al pascolo fuori tiro del
forte. La sera del 24 tornò nel forte il tenente Partini reduce da Adigrat e dal campo nemico. Portava la corrispondenza
d'ufficio e privata e medicinali per 100 feriti. Riferì al comandante del forte delle raccomandazioni di S. E. il Governatore
circa la difesa. Riferì anche che il Ras , udite le parole del Governo, e la richiesta che le trattative fossero fatte in nome
di Menelik, aveva risposto che si sarebbe a lui scritto in proposito, e che appena giunta la sua risposta si sarebbe inviata
ad Adigrat.
A tale uopo avrebbe voluto trattenere il parlamentario, ma dietro le sue insistenze per tornare al suo posto di
combattimento era stato fatto riaccompagnare al forte, per richiamarlo non appena arrivata la risposta del Negus. Il comandante
degli avamposti (tenente Raimondo) notò che il capo della scorta che aveva accompagnato il tenente, e che pernottò alla gran
guardia, era armato di un fucile a piccolo calibro, marcato Henry 1896, sistema di chiusura: Henry Martini; non a ripetizione.
Dal 25 al 31 notaronsi i soliti movimenti di armati, sparsi nei campi a raccogliere ceci, e di quadrupedi al pascolo. Talvolta
avvennero piccoli scontri tra le pattuglie e tra i piccoli posti e gruppi che si avvicinavano troppo Il giorno 29 ras Maconen
richiese un medico per curare ras Atichin Mangascià caduto da cavallo.
Il signor comandante del forte inviò il tenente medico
cav. Mozzetti, il quale fece alla sera ritorno al forte. Il di dopo furono anche inviati al Ras i medicinali occorrenti per la
cura. Il 1° gennaio vi fu vivo scambio di fucilate tra gli avamposti e grosse pattuglie nemiche che lasciarono due morti sul
terreno. Nei giorni successivi gli scontri si fecero sempre più frequenti e di maggiore importanza. I nostri subirono qualche
perdita. Il giorno 3 il Ras scrisse al signor comandante il forte che inviasse a lui il tenente Partini o altro ufficiale. Non
diceva il motivo della richiesta, e la lettera era scritta con intonazione assai altera. Il comandante rispose che prima di
inviare l'ufficiale doveva conoscere il motivo della richiesta ed essere necessario che il Ras mandasse a prenderlo da qualche
capo di importanza, che fosse garante di lui lungo il percorso. Il latore della lettera del Ras, nostro ascaro, attendente del
tenente Scala, riferiva che nel campo eravi grande baldanza pel prossimo arrivo del Negus, che trovavasi già accampato a
Scelicot. Il Ras rispose la sera stessa in modo minaccioso e poco rispettoso; ed il comandante scrisse una lettera in tono
corretto ma inspirata a sentimenti di giusta fierezza.
Con ciò fu posto termine alla corrispondenza col nemico. Tutte le lettere
suindicate furono comunicate al quartiere generale del corpo d'operazione in duplice copia insieme alla giornaliera
corrispondenza. Dal 3 al 6 non si ebbero altre notizie avendo il nemico aumentato la vigilanza tutt'intorno al forte.
Nulla avvenne di nuovo oltre il solito movimento di razziatori, e il solito scambio di fucilate che ne eran conseguenza.
Il 7 gennaio alle ore 10 la pianura a sud del forte, presso Sciaffa, venne occupata da numeroso nemico. Poco dopo sorse un
esteso accampamento, e si vide piantare la tenda rossa del Negus. Alle 10 e ¼ si impegnò vivo fuoco di fucileria tra nemici
spintisi verso il forte e la gran guardia sud, collocata al villaggio di Enda Jesus. Questa fu costretta a ritirarsi, ma poco
dopo poté ritornare ad occupare il villaggio, sostenuta dai tiri del forte.
Alle 11 la ridotta staccata dalle alture nord-est
fu attaccata; mentre anche i piccoli posti sud scambiavan fucilate col nemico. Alle 11 e ¼ gli avamposti dovettero nuovamente
ritirarsi. Il presidio della ridotta (2 bulue) non potendovisi mantenere, l'abbandonò. Il comandante di esso jus-basci Selecca
Agurgia, prima di ritirarsi diede fuoco alla miccia a tempo della mina preparata, e pochi minuti dopo abbandonata, l'opera, già
occupata dal nemico, saltò in aria. Alle 13 il nemico pose in batteria dell'artiglieria su di una collinetta verso Gargambessa.
Il suo tiro non giunse a battere il forte. Si raccolsero scheggie di proiettili a tiro rapido caduti poco avanti alle difese
accessorie est del forte. Alle 14 e ¼ fu rioccupata la ridotta staccata dallo stesso presidio che l'aveva dovuta sgomberare al
mattino poco dopo però la dovette abbandonare di nuovo.
Il nemico occupò quindi le alture est e nord-est, e girando dietro esse,
tentò anche un attacco contro il fronte nord, spingendosi nell'angolo morto. Le artiglierie nemiche si portarono in batteria
sulle alture ad est a circa un chilometro e mezzo dal forte, e batterono il terrapieno producendo in esso delle perdite. Si
raccolsero nel forte delle scheggie e delle spolette di proiettile da 7 BR da montagna. La nostra artiglieria seguitò sino a
sera a far fuoco contro il nemico che tentò più volte di avanzare contro i fronti sud sud-est, est e nord, e riuscì a
controbattere le artiglierie nemiche. Il fuoco di fucileria seguì sino all'imbrunire. Il nemico si ritirò a sera nei suoi
accampamenti lasciando guardie nelle posizioni conquistate. Si disposero nuovamente nella notte gli avamposti molto più
ravvicinati al forte. Al mattino dell'8 il nemico che occupava le alture ad est costruì su di esse una trincea; alle ore 8 ¼
iniziò il tiro dei cannoni a tiro rapido da dette posizioni.
Alle 8 e ¾ il fronte sud fu attaccato. La gran guardia sud dovette
ritirarsi, perché battuta dall'artiglieria nemica occupante le alture, e minacciata da aggiramenti di fanteria e cavalleria.
Le acque furono occupate dal nemico che si stabilì nell'angolo morto dei due burroni, da dove non fu più possibile sloggiarlo.
Il fuoco della nostra artiglieria e quello di fucileria dal forte sud respinsero la fanteria attaccante. Il nemico circondò
allora il forte con l'artiglieria posta in batteria in cinque posizioni e continuò tutto il giorno a far fuoco infliggendo
rilevanti perdite, e battendo la polveriera che fu necessario sgombrare, poiché i proiettili penetravano e scoppiavano
all'interno di essa. Non fu possibile controbattere alcune delle batterie nemiche non giungendo il tiro dei nostri pezzi da
montagna alla distanza dalla quale sparavano i cannoni a tiro rapido del nemico. Fuochi di fucileria nemica appostata alla
distanza di 700 a 1000 metri; e mitragliere situate nel villaggio di Enda Jesus, molestarono per tutto il giorno i movimenti
del terrapieno e nel ridotto dell'Enda. Nella notte dell'8 al 9 si respinsero due tentativi di attacco, il primo alle 21 e ½.
Nella notte non fu più possibile disporre il servizio d'avamposti, e si dovette limitare la difesa esterna ai posti collocati
subito avanti ai reticolati di fili di ferro.
All'alba del 9 videsi il nemico costruire altre trincee sulle alture nord-est.
Dalle 8 alle 12 e ½ si ripeterono vari tentativi di attacco che furono respinti. Alle 13 e ¼ l'artiglieria nemica sparò alcuni
colpi dalle alture est, la nostra artiglieria alle 14 ¼ aprì il fuoco sul paese di Macallé, ove si andava radunando il nemico,
che fu costretto a sgombrare, poi con quattro colpi a percussione aprì una breccia nella trincea costruita dal nemico sulle
alture nord-est e ne determinò l'abbandono. Alla sera come nei giorni precedenti e successivi si notò il movimento di colonne
nemiche giranti al coperto per recarsi nei burroni a dare il cambio alla guardia delle due acque. Non essendo più possibile dal
giorno 8 inviare ad attingere acqua alle due sorgenti, la sera del 9 si cominciò a distribuire quella raccolta nel forte. Il
signor capitano Benucci fu incaricato di sorvegliare detto servizio.
La riserva generale, che nei giorni precedenti era stata
costituita con la truppa che si ritirava dagli avamposti, fu dal giorno 10 costituita da quattro buluc (uno per compagnia)
cambiati giornalmente. Detta riserva era comandata dal sottoscritto. Nella notte dal 9 al 10 alle 24 ½ fu tentato un attacco
sul fronte sud. Altri quattro attacchi furono tentati e respinti alle 1 ½, alle 2 ½, alle 4 ¼, alle 5 ½. In uno di essi la
batteria nemica, situata ad Enda Jesus, sparò 2 colpi; uno dei quali imboccò una cannoniera e produsse danni in batteria.
Alle 8 1 ½ del10 il fuoco di fucileria nemica rallentò. Verso le 10 si eseguì un tentativo per riconquistare l'acqua sud.
Fu inviata a tal uopo una pattuglia di ricognizione, mentre una centuria, agli ordini del tenente Raimondo si teneva pronta
a partire per sostenerla. Ma il nemico appostato nel burrone, in forza di 500 armati circa, respinse la pattuglia uccidendo
il muntaz che la comandava, e ferendo 2 ascari; avanzò poi verso il fronte sud da cui si aprì vivo fuoco di fucileria, sostenuto
dall'artiglieria del ridotto.
Il nemico fu respinto nel burrone con forti perdite. Causa l'esiguità del presidio del forte, e
pel parere concorde di tutti i comandanti di compagnia e capi servizio, si rinunziò ad ulteriori tentativi per riconquistare
l'acqua, finché non fossero resi necessari dall'assoluta mancanza di quella raccolta nella riserva. Durante la notte del 10
all'11 furono continuamente scambiate fucilate tra le vedette delle banchine, ed armati che tentarono la distruzione delle
difese accessorie. Riuscì al nemico di tagliare i fili conduttori delle fogate.
All'alba si pronunziò un attacco vivissimo
contro il saliente nord-est. Il nemico pose in azione mitragliere, che dalla trincea a nord-est e dal paese di Enda Jesus
battevano d'infilata il fronte ovest, arrecando sentite perdite ai difensori di esso. L'attacco durò insistente sino alle ore
11. Alle 7 ½ entrò in linea nel saliente nord-est più minacciato dal nemico, il 1° buluc della riserva (1° compagnia); alle ore
8 il 2° (2° compagnia). L'artiglieria nemica dal paese di Enda Jesus batté con vivo fuoco la batteria del ridotto dell'Enda,
tenendo a lungo impegnata per controbatterla una sezione. Forti colonne sfilavano intanto a sud con direzione ovest verso la
pianura di Macallé. Due pezzi chiamati alla piazzola bassa per battere nell'angolo morto gli attaccanti del saliente nord-est,
incontrarono molte difficoltà per tornare in batteria, essendo la rampa di accesso ad essa efficacemente battuta dal fuoco
vivissimo delle mitragliere poste in trincee sulle alture nord-est.
I pezzi furono smontati, ed uno di essi fu trasportato a
spalla dal carabiniere Bianchi, che superò la rampa sotto il tiro del nemico, riuscendo a riportare il cannone in batteria.
Il materiale della nostra artiglieria soffrì in questa giornata rilevanti avarie, alle quali fu possibile riparare. Un alzo
ed un mirino si ruppero, una sala si spezzò, e fu necessario eseguire sotto il fuoco la manovra di cambio dell'affusto.
L'attacco momentaneamente scemato d'intensità ricominciò vivissimo alle 12; alle ore 13 il nemico respinto si ritirò. Non
fu possibile eseguire una sortita per l'inseguimento vicino, causa l'esiguità del presidio del forte.
Il resto della giornata
e nei giorni successivi non vi furono più attacchi a fondo. Seguitaronsi a scambiar fucilate col nemico, che appostato nelle
posizioni dominanti il forte, continuò a molestare con tiri di fucileria, di artiglieria e di mitragliere tutti i movimenti
che scorgeva nel terrapieno, prendendo di mira specialmente gli ufficiali e la truppa italiana.
Il nemico nella giornata
dell'11 subite perdite rilevantissime lasciò molti cadaveri al saliente nord-est ed ardite pattuglie dei nostri, scese
nella notte successiva dai parapetti, tolsero ai morti più vicini 72 fucili, molte cartucce e armi bianche. Il giorno 13
giunse nel forte una lettera firmata dal cavalier Felter in cui si chiedeva di trattare un armistizio per seppellire i morti.
Il signor comandante del forte rispose essere pronto ad aprire le richieste trattative, purché fossero corse a seconda dei
regolamenti italiani, tra il comandante del forte ed il comandante dell'esercito nemico, e questi ritirasse le truppe nei suoi
campi. Il cav. Felter scrisse di nuovo, dicendo ciò non essere possibile, e chiedendo una cessazione di ostilità di poche ore;
non fu accordata. La sera del 19 giunse una lettera del cav. Felter dal campo nemico nella quale si annunciava al signor
comandante che d'ordine del Governatore si doveva procedere all'evacuazione del forte, e che all'indomani il predetto signor
Felter sarebbe venuto a combinare le modalità per la uscita del presidio, dei feriti e dei materiali da trasportarsi.
Al mattino del 20 giunse infatti. Riunitosi il consiglio della difesa, riconosciuti i poteri del signor Felter, il Consiglio
ad unanimità decise di non potere il signor comandante regolarsi altrimenti che obbedendo agli ordini superiori. Alle ore 13
del giorno 21 fu ammainata la bandiera nazionale ed issata la bandiera bianca, segnale questo convenuto tra il cav. Felter ed
il Negus che gli accordi preventivamente presi erano stati riconosciuti dal signor comandante del forte.
L'acqua della riserva
cominciata a distribuire dal giorno 9, era ridotta a due razioni di un quarto di litro per ogni presente.
I quadrupedi non
avevano più bevuto dal giorno 8. Era quindi convenuto che all'issarsi della bandiera bianca il nemico avrebbe sgomberato l'acqua;
ciò non avvenne.
Il Negus inviò invece l'autorizzazione di attingere 30 barili e di lasciar bere i quadrupedi. Queste
convenzioni, come tutte le precedenti e successive, corsero direttamente tra il cavalier Felter e il nemico. Non essendo i
quadrupedi superstiti del forte in caso da servire pel trasporto dei feriti e materiali, il Negus aveva promesso di inviare i
muletti e cammelli a ciò necessari. Ma il 20 nulla fu inviato. La mattina del 21 ras Maconen invitò ad un convegno il signor
comandante per trattare delle modalità di consegna dei suddetti quadrupedi. In seguito alle insistenze del Ras e
all'intromissione del cavalier Felter perché il signor comandante annuisse alle sue richieste, fu convenuto che nel pomeriggio
il presidio avrebbe evacuato il forte, per accampare nella pianura a sud di esso, dove si sarebbero deposti i feriti e i
materiali da portarsi al seguito. Ras Maconnen avrebbe al mattino del 22 consegnati in detta località i quadrupedi promessi.
Alle ore 16 fu iniziata l'uscita della truppa e dei materiali. Alle ore 19 ne usciva ultimo il comandante, seguito dallo stato
maggiore del 3° battaglione.
Un bingerman del Negus, dopo aver reso al comandante gli onori militari, entrava coi suoi armati
nel forte, di cui prese poi il giorno dopo regolare consegna dal tenente del genio signor Paoletti, a tal uopo inviato. Il signor
comandante appena raggiunto il corpo d'operazione, compilò un rapporto riassuntivo sulla difesa, gli stati dei morti, feriti,
delle cartucce sparate e delle proposte a ricompensa, e l'inviò subito a S. E. il Governatore.
Compilò e presentò poi un rapporto
sulla marcia da Macallé ad Adagamus, i rendiconti del presidio e gli elenchi dei materiali smarriti e distrutti. Rimasero presso
il comandante il 3° battaglione indigeni il protocollo, la corrispondenza d'ufficio, il giornale d'assedio, il registro delle
deliberazioni del consiglio della difesa, ed il registro degli ordini che si sarebbero consegnati su richiesta del quartier
generale, il 2 marzo, non essendo stato possibile farlo prima a causa dei continui movimenti nel battaglione che avevano sempre
impedito di raccoglierli e ordinarli.
Tanto le relazioni presentate quanto i documenti rimasti presso il comando del 3°
battaglione indigeni, sono stati smarriti con l'archivio del comando e le cassette di cancelleria nella ritirata dopo il
combattimento del 1° marzo. I dati su cui è stata compilata la presente relazione e gli stati annessi sono stati raccolti
dagli ufficiali e graduati di truppa ancora superstiti dei reduci di Macallé.
Il tenente aiutante maggiore Umberto Partini.
Riferimenti: archivio di Terzaclasse.it
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