1904 - Proclamazione del primo sciopero generale.
Il 16 settembre iniziò il primo sciopero generale mai avvenuto in Italia. La manifestazione di protesta prese il via nella città di Milano e in poche ore si estese a gran parte delle contrade del Regno. Il malcontento popolare esplose in maniera fragorosa in occasione dell'ennesimo eccidio di proletari da parte delle forze dell'ordine o dell'esercito. Il 4 settembre quattro minatori delle miniere di Buggerru in Sardegna vennero uccisi dai soldati durante una manifestazione di protesta innescata dalla decisione dell'azienda, la società parigina Societé des mines de Malfidano di diminuire di un'ora la pausa di riposo tra il turno mattutino e quello pomeridiano.
La reazione dei militari, chiamati dalla direzione della società, ebbe luogo mentre una delegazione di minatori era a colloquio con il direttore dell'impianto, l'ingegnere di origine greca Achille Georgiades. A Milano, la notizia dell'eccidio innescò diverse proteste spontanee. Durante un comizio tenuto nel cortile delle scuole comunali presso Porta Romana, prese la parola Enrico Dugoni, un farmacista socialista, che riuscì a catalizzare gli animi e dare avvio alla protesta.
Ma la goccia che fece traboccare il vaso fu la notizia di un ulteriore fatto di sangue avvenuto a Castelluzzo, in Sicilia, ai danni di contadini socialisti, dove i carabinieri uccisero due persone nei locali della Lega socialista.
La Camera del Lavoro di Milano nel corso di un accesa riunione a cui parteciparono migliaia di lavoratori, decise di proclamare lo sciopero generale politico e mettere in pratica, così, le idee del teorico francese del socialismo, Georges Eugéne Sorel. In pochi giorni lo sciopero si estese a gran parte del Regno e durò per quattro giorni. Le astensioni dal lavoro riguardarono gli operai, gli artigiani, i panettieri, i gasisti e gli addetti alla pubblica illuminazione. Si fermarono i tram e i giornali.
Diminuì anche la circolazione ferroviaria nonostante il governo Giolitti avesse provato a militarizzare le ferrovie. La reazione delle classi borghesi fu furibonda tanto che chiesero allo stato di reprimere con la forza le manifestazioni. Giolitti adottò la solita politica attendista e lasciò che la forza della protesta diminuisse in modo autonomo e naturale: sapeva che la situazione era esplosiva e qualsiasi altra provocazione avrebbe potuto avere conseguenze imprevedibili e drammatiche.
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