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1919-1920 - Biennio rosso: le difficoltà economiche e sociali alimentano il malcontento popolare

La fine del primo conflitto mondiale aveva lasciato la società italiana stremata dall'economia di guerra: l'inflazione era aumentata a dismisura e con essa il costo della vita. Le campagne, abbandonate dai contadini soldati, erano in condizioni pietose mentre le industrie avevano davanti un lungo processo di riconversione della produzione non più destinata a scopi bellici.
Il malessere era evidente e non di rado la popolazione scaricava le sue frustrazioni sugli ex combattenti colpevoli, secondo la vulgata popolare, di aver voluto la guerra causa di tante difficoltà. Le prime rivolte vere e proprie si ebbero a partire dalla primavera del 1919 in Toscana. Ben presto le proteste si estesero a gran parte della penisola con uno stillicidio di scontri tra operai e forze dell'ordine che causò diverse vittime. A partire dal marzo dell'anno seguente la protesta fece un salto di qualità con l'organizzazione di scioperi di massa nelle principali realtà industriali del paese, subito represse dal Regio esercito.
A luglio ci furono le prime occupazioni di stabilimenti industriali con ripetuti tentativi di autogestione produttiva che allarmò gli industriali. In questo frangente il governo Giolitti adottò una strategia attendista nonostante le forti pressioni del padronato per adottare azioni repressive. L'anziano statista piemontese era convinto che quello che riteneva il naturale fallimento delle autogestioni avrebbe illuminato la classe operaia sulle velleità dell'esperimento produttivo adottato senza le necessarie competenze gestionali.

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